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  • Immagine del redattoreIl grillo parlante

LABORATORIO DI SCRITTURA: RACCONTO IL RAZZISMO

Sono davanti al portone di casa mia, non riesco ad aprire la porta, non ci riesco. Appena metto le mani sulla maniglia diventano fredde e non riesco più a muovermi. Provo ad entrare in casa ma ho paura di cosa dirà mia madre appena mi vedrà. Nella mano sinistra tengo stretto il compito di informatica, lo tengo così stretto che credo che la carta si possa strappare da un momento all’altro. Sto tremando ed i miei occhi sono completamente rossi, le lacrime si mescolano con il sangue e scorrono sul mio viso, sono lacrime acide che mi stanno consumando lentamente. Io non capisco, non ho mai capito e continuerò a non capire. Dopotutto il mio scheletro è bianco come il loro, il mio sangue è rosso come il loro, ma io non sono come loro e non so se questo sia un vantaggio o uno svantaggio. “Loro” mi hanno sempre guardato male, ma io non lo sapevo.

La verità è che se sei diverso, sei automaticamente inquadrato come il cattivo, come il violento, come il ladro, come tutto quello che non sei. Oggi ne ho avuto la prova.

La mia giornata è iniziata con il suono fastidioso, ma rinvigorente della sveglietta arancione appoggiata sul comodino. Mi sono alzato e ho preso tra le mani la maglietta azzurra presa nel black friday del 2019. La giornata sembrava iniziare meravigliosamente, ma i guai sono iniziati solo undici minuti dopo essere uscito da casa. Ho incontrato una ragazza che aveva perso uno specchietto, mi sono proposto di aiutarla a cercarlo, ma lei “non ha gradito”. Mi ha accusato di averle rubato lo specchietto e mi intimò di ridarglielo. Io non l’avevo mai vista prima e le dissi di non sapere dove fosse quello specchietto. Erano le 7.30 del mattino e non volevo fare tardi a scuola, così ho provato ad andare via da quella piccola piazzetta. Morale della favola? La ragazza era convinta che fossi stato io a prenderle lo specchietto, così, mi ha fatto pestare da suo fratello maggiore. Prima mi ha dato un pugno in faccia, poi un altro, poi un calcio e poi è passato un poliziotto. Ha fatto finta di niente, è andato via. Ne arrivò un altro, lui si fermò e fermò anche il ragazzo che mi ha fatto diventare gli occhi completamente rossi. Me ne andai in fretta. Sono entrato a scuola sanguinando, ma nessuno si è offerto di aiutarmi. Entrai in classe. Sentivo gli occhi dei miei compagni su di me: erano pesanti e mi stavano schiacciando. I loro occhi erano appiccicati alla mia faccia ed ognuno di loro mi guardava in un modo diverso. Percepivo il disprezzo ed il disgusto di alcuni sguardi. Mi sedetti sul banco. Mi sentivo umiliato, mi sentivo strano, volevo solo andarmene. Entrò la professoressa Allies, la prof di informatica.

Ho sempre preso voti bassi nella sua materia, ma lei non mi ha mai saputo spiegare il perchè. Corsi alla cattedra e le chiesi di andare in bagno per sciacquarmi. Lei mi guardò male, mi guardò con sufficienza e si riusciva a vedere un minuscolo sorriso sulla sua faccia. Lei appoggiò le mani sulla scrivania e iniziò a picchiettare con le unghie sopra di essa. Mi disse che ero già sporco e il sangue non faceva molta differenza. Non mi sembrava vero. Non avrei mai immaginato che lei potesse dirmi una cosa del genere. La pregai di farmi uscire, ma niente. Sentivo la mia testa girare, percepivo il sangue che si asciugava sul mio viso e che veniva ricoperto da altro sangue. Scoppiai a piangere davanti a lei. Lei mi guardò in modo strano, forse non immaginava che anche i neri potessero essere semplicemente vittime. La Allies mi mandò in bagno e mi consegnò i risultati del compito svolto la settimana prima. Corsi in bagno con il foglio in mano e lo usai per asciugarmi la fronte dal sangue. La vidi solo dopo. Era un quattro. Un altro quattro, un altro quattro ingiustificato. Non avevo fatto errori, come era possibile? Mi misi a piangere. Entrò in bagno il mio "migliore amico”. Io corsi da lui e lo abbracciai. Lui mi spinse via buttandomi a terra. Ero incredulo. Il mio “amico” mi disse che era ok essere amici, ma non voleva essere amico di un “ ladro violento”. Disse che sapeva che i neri erano cattive persone ma non si immaginava che anche il suo amico potesse fare a botte. Provai a spiegargli cosa fosse realmente successo, ma non ci riuscivo. Le parole mi si bloccavano in gola e creavano un enorme nodo che non mi permetteva di parlare. Lui andò via ed io ero lì. Ero nel bagno dei maschi a pensare quanto fosse ingiusto tutto questo. Mi sedetti di fianco al muro gelido e continuai a piangere. L’ora dopo andai via da scuola. Correvo il più veloce possibile per far si che nessuno mi potesse vedere, volevo essere invisibile, mi sentivo privato della mia dignità, mi sentivo sporco, come diceva la Allies, mi sentivo un ladro, come diceva il mio “amico”, mi sentivo colpevole, mi sentivo un’altra persona. Io non sono la persona che gli altri pensano che io sia appena mi vedono.

Ora sono qui, davanti casa mia. Ho paura di farmi vedere, ho paura di fidarmi di qualcuno, ho paura di fare un altro passo, ho paura. Mi sento paralizzzato.

Il razzismo è una brutta cosa, e non auguro a nessuno di ritrovarsi nella mia stessa situazione, lo dico davvero. È brutto aver paura di essere giudicati da qualcuno solo per il colore della pelle, più che brutto è ingiusto, è molto ingiusto.

ROBERTA MITOLO, 3A




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