1 Descrivi il personaggio di Wadjda. In che senso il suo può essere considerato un carattere ribelle?
Quali sono i particolari della sua quotidianità che la regista ci fa vedere per comunicarci la diversità di
Wadjda.
2 In cosa il personaggio di Wadjda ti assomiglia?
3 Descrivi il rapporto tra Wadjda e i suoi genitori.
4 Da ciò che hai capito vedendo La bicicletta verde, quanto condiziona la religione i comportamenti del-
le persone?
6 "La voce della donna non dovrebbe mai oltrepassare le porte. La voce della donna è la sua nudità.”
Commenta tale affermazione della preside. Come viene considerata la donna in Arabia Saudita? Co-
sa viene negato alle donne?
7 Come sono vestite le donne e gli uomini nel film? Prova a fare una piccola ricerca con i tuoi compagni
e cerca di capire cosa significano, rispetto alla religione, quei determinati abiti.
8 Ti è mai capitato di vedere anche da noi donne vestite con l'abaya e con l'hijab (il foulard che copre la
testa e il collo)? Perché in alcuni paesi europei, come in Italia, si vuole vietare per le donne islamiche
l'uso del velo e dell'abaya in pubblico? Tu cosa ne pensi?
9 Cosa rappresenta la bicicletta per Wadjda?
10 Che cosa sono i diritti? E le pari opportunità?
11 Secondo te, nel nostro Paese, ci sono dei diritti che le donne non hanno ancora concretamente acqui-
sito? Quali sono?
1 Wadjda è una ragazzina musulmana di dodici anni che spera di essere libera un giorno da tutte quelle regole che gli adulti, condizionati dalla religione, le impongono. Vive a Riad, in Arabia Saudita. Vuole molto bene sia al suo papà, che alla sua mamma, con cui ha un rapporto più speciale, quasi fraterno. A volte non riesce proprio a capire perché esistano così tante regole per le donne e quasi nessuna per gli uomini, infatti molto spesso si dimostra contraria a ciò che le dicono sulla loro società. E’ una bambina vivace, gentile, determinata, testarda e coraggiosa, che non si perde d'animo per ottenere ciò che desidera veramente. Il suo può essere considerato un carattere ribelle perché è fuori dagli schemi di quella dittatura, lei vuole essere semplicemente libera, di stare con chi vuole, di indossare o non indossare ciò che preferisce e soprattutto di andare su una bicicletta. Molte di queste cose non sono concesse in Arabia Saudita e la maggior parte delle ragazzine della sua età obbedivano e basta senza ribellarsi a tutta quella ingiustizia, Wadjda, ,invece, era diversa. La regista ci fa capire perfettamente questa diversità di azioni della vita quotidiana della ragazza: parlare e giocare con il suo migliore amico Abdullah, cosa che Wadjda non avrebbe potuto fare, visto che sono vietati tutti i contatti con gli uomini; indossare scarpe da ginnastica colorate, ascoltare musica “proibita” ed il continuo desiderio di andare in bicicletta.
2 Il personaggio di Wadjda è davvero molto simile a me. La stessa convinzione di voler dire ciò che penso e non volermi fare ostacolare e mettere i piedi in testa da nessuno. Determinata a raggiungere i miei obiettivi e a dedicarmi alle mie passioni, impegnandomi per imparare ogni giorno cose nuove. Anche nella differenza tra me e le altre ragazze della mia età Wadjda è molto simile me. Molto spesso capita di sentirmi diversa dalle mie coetanee. Il più delle volte, io sono quella ad avere interessi, pensieri e gusti diversi.
Nonostante ciò, sono contenta di essere chi sono, me stessa.
3 Il rapporto che Wadjda ha con sua madre è stupendo. Anche se a volte si arrabbia con lei e non le permette sempre di fare ciò che vuole, si vede che in fondo si vogliono un bene grandissimo, e che il loro legame non si spezzerà facilmente. La scena finale rappresenta proprio quanto una madre è disposta a sacrificarsi per i suoi figli. Anche se era profondamente triste, dopo essere stata lasciata dall’amore della sua vita, la mamma di Wadjda aveva regalato la bici che sua figlia voleva da tanto tempo rinunciando al vestito che tanto avrebbe voluto. Solo per renderla felice.
Mentre, secondo me, non si può dire lo stesso per suo padre. Che approfittava sia di lei che di sua madre e che alla fine le ha lasciate sole.
4 Secondo me la religione condiziona completamente la vita delle persone. Ognuno è libero di attenersi o meno alla religione, non deve essere un obbligo ma neanche si dovrebbero giudicare coloro che scelgono di fare la scelta di seguire la propria religione. Inoltre, penso che bisognerebbe seguire sì le regole della propria fede evitando però che questo diventi un’ossessione. Il mondo è cambiato, la gente si è evoluta non si può sempre pensare di essere rimasti nel 1800. Le donne e gli uomini devono essere sullo stesso piano, e non ci devono essere così tanti divieti.
6 La donna in Arabia Saudita, ma come in molte altre parti del mondo, è considerata solo un oggetto. Vista solo nei suoi compiti di accudire i propri figli, pulire e preparare la cena. Non può uscire di casa da sola, guidare, infatti deve avere per forza un autista privato, andare in giro vestita come vuole, deve essere sempre con il viso quasi completamente coperto e con l’abaya, praticare sport, lavorare (a meno che non sia medico o insegnante), interagire liberamente con gli uomini e decidere con chi sposarsi. Sono limitate in tutto e questa situazione è profondamente ingiusta e senza senso. Il fatto che a dire quella frase sia stata una donna, fa capire molte cose, come aver proibito loro di fare molte cose le faccia ormai sentire prigioniere di loro stesse.
7 Nei paesi più retrogradi la scelta del guardaroba è molto limitata per le donne saudite, che devono indossare sempre l’abaya, un lungo vestito che arriva fino ai piedi, oltre al velo islamico (di cui parla il Corano). Negli anni, è stato concesso solo un minimo margine di libertà sul colore. Un decreto entrato in vigore nel 2012 vieta ai titolari dei negozi di articoli femminili, come cosmetici e lingerie, di assumere personale maschile, portando sì all’ingresso di molte donne nel mondo del lavoro, ma anche alla chiusura di centinaia di piccoli esercizi.
Mentre, in paesi che stanno man mano aprendo gli occhi, come ad esempio, la capitale dell’Arabia Saudita, nota per essere culturalmente molto conservatrice, la globalizzazione e i modelli trasmessi dai media sono complici dell’apertura mentale associata al mondo occidentale. Uno dei primi timidi segnali di una società che tenta di cambiare si nota proprio a livello di vestiario. Oggi molte persone non considerano più obbligatorio il niqab, indumento nero che copre interamente il corpo lasciando scoperti solo gli occhi, e le donne si sentono meno obbligate a muoversi per le strade indossando abiti che coprano le loro facce. Sempre più donne invece scelgono di indossare l’hijab ovvero il “velo” che copre il capo, lasciando intravedere qualche ciocca di capelli. L’hijab viene spesso coordinato con l’abaya: una lunga veste ora reperibile in colori diversi, in contrasto con la tradizione, che vuole questo indumento prettamente nero.
8 Mi è capitato a volte di vedere donne vestite con l'abaya e con l'hijab. E penso che l’idea di vietare di indossare il velo alle donne musulmane non sia giusta. In Italia le donne sono libere di indossare o no l'hijab o l’abaya e quindi la scelta sta a loro. Se qualcuno vuole seguire una religione, perché non può farlo? Di certo non reca danno a nessuno indossando un velo, e poi perché vietarlo in pubblico. Il velo non è sinonimo di paura ma semplicemente significato di qualcuno che segue la sua fede. Togliere la possibilità di indossare il velo alle donne islamiche nei Paesi Europei per me è ingiusto nella stessa misura in cui le donne sono costrette ad indossarlo in Arabia Saudita, non c’è alcuna differenza. Per alcune donne il velo è liberazione, felicità e scelta di seguire Allah. Proprio per questo, le donne, in tutti i Paesi del mondo, devono essere libere di scegliere se indossare o no il velo.
9 La bicicletta per Wadjda rappresenta la libertà. Tutto ciò che vuole fare è pedalare e andare, correre veloce, per sentirsi finalmente libera. Senza regole, senza obblighi solo lei e la sua bicicletta verde.
10 I diritti sono quegli che ci permettono di essere felici. Tutti devono avere la certezza di avergli, a nessuno devono essere negati. I diritti significano libertà, ci permettono di andare a scuola, parlare, esprimere un pensiero, votare per scegliere i nostri governanti, essere tutti uguali di fronte alla legge. A volte tutto ciò ci sembra scontato e quasi naturale, ed invece in passato la conquista di alcuni di questi diritti è costata la vita a tante persone ed ancora oggi in alcuni paesi del mondo queste libertà non vengono riconosciute, come abbiamo potuto comprendere anche vedendo questo film.
E soprattutto, in molti paesi islamici (e non solo) le pari opportunità sono una chimera: intere fasce di popolazione, e soprattutto le donne non hanno gli stessi diritti e, appunto, le stesse opportunità degli uomini e vivono in condizioni di totale asservimento. Secondo me pari opportunità, appunto, significa che ognuno debba avere le stesse possibilità e gli stessi diritti e che non vi sia alcuna differenza legata al sesso, alla religione o alla condizione sociale. Ma purtroppo così non è.
11 L’Italia è un paese democratico e sicuramente la gran parte dei diritti fondamentali sono riconosciuti a tutti. Eppure, secondo me, ci sono ancora situazioni in cui è evidente una considerazione non proprio moderna del ruolo della donna: penso ad esempio al fatto che spesso le donne non hanno le stesse opportunità lavorative degli uomini, ed in molti casi sono sottopagate e non vengono considerate per ruoli di responsabilità. Peggio ancora, in alcune realtà lavorative si evita di assumere donne giovani e fertili per evitare problemi e assenze nel momento in cui decideranno di avere un figlio, addirittura alcune donne vengono licenziate, con ogni scusa possibile, solo perché incinte.
Pensiamo ancora che i figli siano ancora qualcosa che riguardi solo le madri e non invece anche gli uomini e i padri.
Penso anche alla politica: spesso sento parlare in televisione di “quote rosa” cioè di dover necessariamente riservare, in Parlamento come in Consiglio Regionale ed anche alle elezioni comunali Comunale, una “quota” di seggi alle donne come se fosse necessaria una legge per consentire alle donne di accedere in politica. Sarebbe più giusto invece che le donne, come gli uomini, venissere scelte per le loro qualità e non perché lo stabilisce la legge.
ALESSANDRA DELL’ERBA, 2A
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